Galassie ellittiche

Galassie ellittiche

Con il termine early-type si indicano le galassie che occupano la parte sinistra del diagramma a diapason di Hubble che includono più generalmente le galassie ellitiche, le galassie S0 ed i bulges delle spirali.

Le early-type sono galassie aventi forma sferoidale e, generalmente, sono prive di strutture evidenti, al contrario delle galassie a spirale (parte destra del diagramma di Hubble) che sono per lo più classificate in base alle dimensioni e struttura dei cosiddetti bracci di spirale.
Contrariamente alla loro apparente semplicità, le galassie early-type si sono rivelate essere dei sistemi stellari estremamente complessi da studiare sia da un punto di vista osservativo che teorico.
Alla luce delle conoscenze acquisite riguardo tali sistemi negli ultimi vent’anni, è noto che essi sono sistemi generalmente triassiali, in molti casi contenenti una significativa quantità di polveri e gas (de Zeeuw 1992; Capaccioli & Longo 1994).
Studi fotometrici (Capaccioli 1989, Caon et al.1993), finalizzati cioè allo studio della quantità di luce emessa per unità di superficie angolare (brillanza superficiale), hanno rivelato che questa sembra essere ben descritto da una legge di potenza nota come legge empirica di de Vaucouleurs (1948).

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Il diagramma a diapason di Hubble (al centro) ed una paronamica di galassie appartenenti a diversi tipi morfologici.

I contorni di uguale brillanza superficiale, o isofote, possono avere diverse morfologie dette boxy o disky (Lauer 1985; Capaccioli et al. 1987, Bender et al. 1988) o irregolari, probabilmente a causa di diversi meccanismi di formazione.
Inoltre le galassie early-type presentano nuclei attivi anomali, multipli o controrotanti, anelli polari e sono sede di attività radio ed X.
Bertola & Capaccioli (1975) hanno definitivamente dimostrato che la struttura di questa classe di galassie, che originariamente erano considerate sistemi semplici il cui schiacciamento era dato da moti di rotazione, è invece determinata dai moti disordinati che caratterizzano la cinematica delle stelle all’interno di queste galassie, aprendo una nuove era nello studio e nell’interpretazione della struttura interna di questi sistemi.

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Morfologia delle isofote nelle galassie ellittiche (da Bender et al. 1988). Isofote disky (sopra) e boxy (sotto).

Scienza

Dal punto di vista cinematico, ossia della distribuzione dei moti delle stelle che le compongono, le galassie early-type sono sistemi in cui sembrano predominare i moti disordinati per cui vengono usualmente definiti sistemi caldi, dall’analogia con i gas, per distinguerli dai sistemi freddi rappresentati dalle galassie a spirale (dette pure a disco), in cui, al contrario, predominano i moti ordinati di rotazione.

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Distribuzione dei moti all’interno delle galassie. Nelle galassie a spirale o disco (a sinistra), dominano i moti ordinati di rotazione intorno ad un asse perpendicolare al disco su cui la maggior parte delle stelle è distribuita. Nelle galassie early-type (a destra), le stelle sono distribuite su orbite di forme ed inclinazioni diverse, da cui ne scaturisce una distribuzione caotica dei moti che è responsabile sia della cinematica che della morfologia (sferoidi oblati, prolati o triassiali) di questi sistemi.

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Curva di rotazione di NGC 2403 modellata con una componente di disco più un alone oscuro

La quantità che misura i moti ordinati è la curva di velocità di rotazione, che per le galassie a disco è una buona approssimazione di come variano i moti circolari sul piano equatoriale al crescere della distanza dal centro.
Anche le galassie ellittiche ruotano, ossia hanno una componente ordinata nei moti, ma questa è generalmente di gran lunga inferiore alla dispersione di velocità, ossia quella quantità che misura i moti disordinati (anche se ci sono casi in cui la componente di rotazione è maggiore della dispersione).

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Cinematica di NGC 3115 (Capaccioli et al. 1993). A sinistra la curva di rotazione, a destra la curva di dispersione delle velocità. Si vede che la curva di rotazione si appiattisce a circa 250 km/s oltre i 30 arcsecs, un valore circa doppio rispetto a quello della dispersione di velocità alle stesse distanze dal centro.

Per capire il significato fisico della dispersione delle velocità basti pensare che i moti caotici, in quanto tali, non hanno una direzione privilegiata. In ogni punto della galassia, ci sono approssimativamente lo stesso numero di stelle che si muovono verso l’osservatore ed in direzione opposta (lungo la linea di vista dell’osservatore) rispetto ad una velocità locale media che ne rappresenta il moto rotatorio d’insieme. La composizione di questi moti genera una distribuzione quasi-gaussiana, il cui allargamento è una misura della dispersione delle velocità.
L’informazione cinematica è di primaria importanza nelle galassie perché consente una stima della quantità di materia. Se si trascurano i moti disordinati nelle galassie a disco e i moti ordinati (rotazione) nelle galassie ellittiche, la massa inclusa entro un certo raggio r, M(r), può essere con buona approssimazione calcolata con la formula (dal teorema del Viriale)
M(r) = k r v2/ G

Dove G è la costante di gravitazione universale, v rappresenta la velocità di rotazione o la dispersione di velocità all’occorrenza, mentre k è una costante opportuna che collega le quantità osservate con la teoria dell’equilibrio dei sistemi stellari.
Il fatto che in molte galassie la velocità di rotazione e la dispersione di velocità si mantengano costanti a grande distanza dal centro significa che la massa delle galassie cresce con la distanza dal centro in maniera proporzionale al raggio, ben oltre le regioni occupate dalle stelle. Questo ha suggerito che intorno alle galassie debba esistere una componente di materia non visibile, ossia che non emette alcun tipo di radiazione che, per tale motivo, è detta Materia Oscura.

Le potenti righe di emissione delle PNe, consentono di identificare questi oggetti nelle regioni esterne delle galassie ellittiche, dove la luce emessa nello spettro continuo della componente stellare è troppo debole per essere rivelata. A queste distanze è impossibile effettuare misure di velocità con tecniche di luce integrata.
La misura dello spostamento Doppler delle righe di emissione delle PNe consente di misurarne le velocità radiali, ossia la componente di velocità lungo la linea di vista. Dalle velocità radiali delle PNe si possono ottenere informazioni cinematiche delle regioni in cui queste sono localizzate (cioè esse funzionano da traccianti cinematici).

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I campi di velocità radiali di un campione di PNe nelle galassie NGC 1316 (a sinistra) ed NGC 5128 (a destra). Come si vede le Pne, rappresentate con simboli diversi (quadrati, croci o cerchi) di dimensioni proporzionali alle loro velocità, si estendono ben oltre un raggio efficace (Re , raggio che contiene metà della luminosità totale della galassia), che è la distanza tipica entro quale è possibile ottenere le misure della cinematica delle ellittiche utilizzando la spettroscopia long-slit.

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Studio della dinamica di NGC1316 con circa 40 PNe. A sinistra, la curva di rotazione e il profilo di dispersione della velocità delle PNe (quadrati) è simile a quella della componente stellare delle regioni interne (cerchi). L’analisi dinamica ha evidenziato un rapporto M/L crescente con il raggio

Siccome le PNe sono distribuite nelle galassie nello stesso modo delle altre stelle, queste devono condividere le stesse proprietà cinematiche e dinamiche, o detto in altro modo, esse permettono di estendere le misure di cinematica stellare fino a grandi distanze dal centro delle galassie, analogamente a quanto consentono di fare i dischi gassosi intorno alle galassie a spirale.
Questa classe di indicatori cinematici è molto promettente perché, da modelli teorici, ci si aspetta che queste siano abbondanti nelle galassie.
A causa dei problemi osservativi, che in ogni caso sussistono, si riesce ad osservare solo una percentuale modesta di PNe rispetto al numero effettivamente presente. Infatti, data la grande distanza cui sono poste le galassie ellittiche giganti i flussi della riga [OIII] possono, per taluni oggetti, essere troppo deboli per risultare risolvibili.
Anche con questi campioni statistici così piccoli, è stato possibile ottenere importanti informazioni sulla dinamica e sulla distribuzione di massa di alcune galassie ellittiche

Ricerca

Con l’avvento della nuova generazione di telescopi da 8 metri, sarà osservato un numero sempre maggiore di PNe nelle galassie. Inoltre l’INAF-OAC è impegnato in un ambizioso progetto dedicato allo studio della dinamica delle galassie early-type con l’utilizzo di uno strumento dedicato a questo tipo di scienza: lo Spettrografo delle Nebulose Planetarie (PN.S).
Gli studi dinamici condotti finora mediante l’informazione cinematica delle Nebulose Planetarie, hanno mostrato che molto probabilmente la Materia Oscura non è ugualmente distribuita intorno alle galassie early-type, come sembrano suggerire le più recenti teorie di evoluzione dell’Universo. Esistono infatti galassie che posseggono aloni di materia oscura più “massivi”, nei quali la massa cresce più rapidamente con l’aumentare della distanza dal centro, e galassie con aloni di materia oscura più “leggeri”, per i quali la massa oscura aumenta più dolcemente con il raggio. Questo comportamento è ben rappresentato dagli andamenti del cosiddetto rapporto Massa-Luminosità (M/L) che rappresenta il rapporto tra la massa gravitazionale e la luce nelle galassie. Se la massa gravitazionale fosse tutta concentrata nelle stelle, questo valore dovrebbe essere costante e fissato dallo stato evolutivo delle stesse stelle, mentre risulta essere una quantità variabile in maniera (circa) proporzionale al raggio in presenza di materia oscura.

Dinamica delle galassie ellittiche

 

Usualmente, con il termine early-type si intende un’eterogenea classe di galassie che raggruppa ellittiche di ogni luminosità, lenticolari o S0, ed anche i bulge delle spirali: una convenzione che origina dalla similitudine dei ripidi profili di brillanza superficiale (µ R¼) e dall’opinione diffusa che questi oggetti fossero indistintamente sferoidi oblati, schiacciati per rotazione. Circa 25 anni fa divenne chiaro però che essi ruotavano troppo lentamente per giustificare lo schiacciamento osservato, e che questo doveva essere prodotto dall’anisotropia dei moti disordinati. Studi cinematici sempre più accurati hanno definitivamente portato alla luce la complicata struttura interna di questi oggetti (potenziali triassiali, nuclei anomali, multipli o controrotanti, anelli polari ecc.) che, unitamente alle evidenze di una forte attività radio ed emissioni X, suggeriscono la presenza di fenomeni tumultuosi nelle loro storia recente quali interazioni, merging e cannibalismo.
Tali eventi devono avere lasciato traccia nella distribuzione dei moti delle stelle all’interno delle galassie. Perciò la cinematica è divenuta importante non solo per comprendere la dinamica, ma anche l’origine e l’evoluzione delle early-type, ed anche per chiarire alcune questioni pertinenti la cosmologia. Infatti, alcune delle proprietà di questi sistemi sono strettamente legate allo scenario cosmologico in cui essi si sono evoluti; in particolare riguardo la presenza dark matter (DM) nell’universo e la verifica dei modelli cosmologici.
Fino agli inizi degli anni ’90 il campionamento cinematico era confinato alle sole regioni interne delle early-type, sufficientemente brillanti per le usuali tecniche basate sulla luce integrata (long slit spectroscopy), mentre poco o niente si sapeva delle regioni esterne, dove più marcate erano le evidenze di recenti interazioni e della presenza di DM. Il motivo è che le galassie ellittiche non posseggono traccianti cinematici simili alle galassie a spirali, quali regioni di HI o emissioni HII, che fin dagli anni ´70 avevano chiaramente dimostrato la presenza di un significativo quantitativo di DM in queste galassie.

Una nuova frontiera nello studio della dinamica delle early-type

Le Nebulose Planetarie (PNe) sono state utilizzate negli ultimi 20 anni per tracciare la cinematica delle galassie early-type in quelle regioni distanti dal centro in cui le tecniche classiche basate sugli spettri di assorbimento della componente stellare erano inutilizzabili a causa della luminosità troppo debole.
L’informazione che le PNe hanno fornito è risultata così importante che il programma osservativo è proseguito anche a costo della scarsa efficienza intrinseca alla tecnica: tipicamente il numero di velocità radiali di PNe misurate nelle galassie era meno del 10% di quello che potenzialmente poteva essere misurato con i telescopi a disposizione (in particolare a causa delle tecniche spettroscopiche basate sull’utilizzo di fibre o slits). Per tale motivo l’INAF-OAC ha collaborato alla progettazione e realizzazione di uno strumento dedicato allo studio della dinamica delle galassie early-type mediante PNe: lo spettrografo delle nebulose planetarie (PN.S). Il consorzio internazionale che ha realizzato questo strumento comprende pure il Kapteyn Astronomical Institute (Groningen, Netherlands), Mt Stromlo Observatory (Weston Creek, Australia), School of Physics & Astronomy (Nottingham, England), Astronomy Department California Institute of Technology (Pasadena, USA).
Il PN.S opera dalla primavera del 2001 montato sul telescopio William Herschel di 4.2 metri all’osservatorio astronomico di El roche de los Muchachos, sull’isola di La Palma (Spagna).

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Il PN.S operante al telescopio William Herschel. In alto a destra un dettaglio del disegno opto-meccanico, in cui si osserva il percorso ottico che la luce catturata dal telescopio segue per arrivare nelle due camere disposte a V.

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Immagini di un campo di vista del PN.S intorno alla galassia di Andromeda. Nel dettaglio le sorgenti individuate: le PNe appaiono puntiformi a causa della potente emissione nella riga a 5007Å dell'[OIII], le stelle appaiono estese a causa del loro spettro continuo. La velocità delle PNe si misura dallo spostamento laterale delle emissioni nelle due camere contro-diperse.

Lo strumento si basa su di una tecnica slitless che, mediante due camere in cui le emissioni OIII delle PNe sono contro-disperse, permette una rapida identificazione e misura di velocità radiali delle PNe senza uso di fibre o di slits con un’efficienza senza precedenti. Le sorgenti emettitrici in OIII (le PNe) appaiono come oggetti puntiformi nelle immagini delle due camere contro-disperse, mentre le stelle appaiono come sorgenti estese a causa del loro spettro continuo.
Il programma osservativo primario del consorzio del PN.S è un campione di 12 galassie di luminosità medio-alta, prevalentemente sferiche di cui studiare:

  1. contenuto di materia oscura e distribuzione di densità degli aloni oscuri,
  2. confronto con le simulazioni cosmologiche N-body,
  3. struttura orbitale dei moti, 4) distribuzione del momento angolare. Per informazioni più dettagliate consultare il sito del PN.S.

Il programma osservativo è in un buono stato di avanzamento e lo strumento ha cominciato a dare i primi risultati con la precisione e l’efficienza attese.
I risultati preliminari relativi ad un campione di tre galassie di moderata luminosità (NGC 821, NGC 3379, NGC 4494) hanno evidenziato che questi sistemi mostrano una dispersione di velocità che decresce al crescere della distanza dal centro compatibilmente con una sistematica carenza di materia oscura nelle regioni periferiche fino a circa 6 Re (il raggio efficace, entro cui è contenuta metà della luce totale della galassia).

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Tale risultato, per certi versi sorprendente, ha meritato pubblicazione sulla rivista Science. Esso peraltro conferma e rafforza lo studio discusso nel paragrafo precedente sui rapporti M/L nelle early-type, per cui rimane aperta la questione di come possano essere interpretati questi sistemi senza un significativo contenuto di DM in un contesto evolutivo dell’universo in cui la DM deve svolgere un ruolo fondamentale per la formazione ed evoluzione delle galassie. Velocità radiali di 109 PNe intorno NGC 3379, misurate con lo strumento PN.S. La dimensioni dei simboli è proporzionale alla velocità delle singole PN rispetto alla velocità sistemica della galassia. I quadrati rappresentano velocità in allontanamento dall’osservatore, le croci le velocità in avvicinamento.

Le Nebulose Planetarie come traccianti cinematici

Nell’ambito di una vasta collaborazione internazionale, un gruppo di ricercatori dell’OAC è impegnato da alcuni anni nello studio della cinematica delle regioni esterne delle galassie ellittiche utilizzando come traccianti le nebulose planetarie (PNe). Queste sono stelle morenti che hanno espulso gli strati più esterni della loro atmosfera, i quali vengono ionizzati dalla luce proveniente dall’astro centrale (caldissimo perché sbucciato). Lo spettro della nube ionizzata è caratterizzato da potenti righe di emissione (in particolare il doppietto dell'[OIII] a λ = 4959 e 5007 Å) facilmente identificabili anche a distanze di 15 Mpc. L’uso delle PNe s’è rivelato subito molto efficace per completare l’informazione cinematica delle regioni interne, fornendo le prime chiare indicazioni riguardo il quantitativo di DM nelle early-type. Per esempio, le ellittiche giganti negli ammassi della Vergine (NGC4406) e Fornace (NGC1399, NGC1316) hanno evidenziato curve di rotazione quasi-piatte e rapporti massa-luminosità (M/L) crescenti verso l’esterno, compatibili con presenza di DM nelle regioni di alone di questi sistemi.
I primi programmi osservativi a telescopi di 4m d’apertura hanno consentito la misura di un numero limitato di velocità radiali di PNe in sistemi a distanze intorno ai 15 Mpc: tipicamente campi di velocità costruiti con circa 50 PNe. Ciò lasciava dei dubbi sull’accuratezza dei risultati e delle tecniche di analisi dei dati. Va detto che anche con l’avvento di telescopi di 8m di nuova generazione, che permetteranno di osservare campioni di un ordine di grandezza più grandi alle stesse distanze, la questione dei campioni statistici limitati si ripresenterà allorché si vorranno studiare sistemi in ammassi più lontani.

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Profili di dispersione delle velocità con simulazione Montecarlo di campi di velocità radiali di PNe in galassie ellittiche.

Per risolvere i dubbi di una statistica limitata, il gruppo dell’OAC ha approfonditamente analizzato le tecniche per estrarre l’informazione cinematica da campi di velocità radiali discreti, quali quelli delle PNe, tramite simulazioni Montecarlo in sistemi sferici all’equilibrio. In particolare s’è dimostrato come sia possibile ottenere, anche in regime di piccoli campioni statistici, curve di rotazione e profili di dispersione di velocità privi di effetti sistematici. In figura 1 sono mostrati alcuni dei risultati ottenuti per alcune di queste simulazioni. Le curve continue rappresentano i profili cinematici del modello di galassia e i punti con le barre d’errore sono le stesse quantità calcolate utilizzando l’informazione cinematica delle PNe simulate. Come si vede le PNe consentono di ricostruire correttamente la cinematica dei sistemi simulati anche nel caso di 50 velocità radiali.

I rapporti M/L e i parametri strutturali delle early-type

Le differenti proprietà fotometriche e cinematiche delle galassie early-type ne definiscono una sorta di dicotomia. Dagli anni ’80 è ormai noto che le galassie meno brillanti hanno isofote (profili di uguale brillanza superficiale) schiacciati e a forma appuntita (disky) e una distribuzione della luce intorno al centro che decresce radialmente con legge di potenza (µ R-g, con g>0, dette anche power-law) mentre le galassie più brillanti hanno isofote a “scatola” (boxy) con la distribuzione di luce intorno al centro che si mantiene quasi costante (g”0, dette anche galassie con core). Inoltre le galassie meno brillanti hanno una componente di moti ordinati (velocità di rotazione, Vr) maggiore di quella di moti disordinati (dispersione di velocità, s) rispetto ai sistemi più brillanti: Vr/s è quindi maggiore nei sistemi meno brillanti/disky/power-law che in quelli più brillanti/boxy/core.
Questa dicotomia delle galassie early-type è stata generalmente spiegata in un contesto evoluzionistico: le galassie più brillanti e boxy sarebbero il prodotto di un fenomeno di recente “fusione” (o merging) di uno o più galassie più piccole, mentre le galassie meno brillanti e disky o non hanno sperimentato in passato alcun merging oppure, se tali merging si sono verificati, le galassie progenitrici devono essere state ricche di gas.
A supporto di tale scenario ci sono le proprietà di emissione di raggi X: le galassie più brillanti/boxy/core hanno una luminosità totale nella banda X maggiore di quelle meno brillanti/disky/power-law. In questo caso, sembra però che la luminosità X delle galassie sia correlata con la distribuzione di materia oscura e quindi del potenziale gravitazionale delle galassie che consente di trattenere il gas caldo responsabile dell’emissione X. Una chiave interpretativa di tali evidenze incrociate è stata fornita da studi di dinamica condotti negli ultimi anni da ricercatori di questo osservatorio (Capaccioli, Arnaboldi, Napolitano) su diverse galassie (NGC 4406, NGC 1316, NGC 1399, NGC 4697) utilizzando le misure di velocità radiali delle PNe. Sulla base di questi studi e reinterpretando precedenti risultati di letteratura, i ricercatori dell’INAF-OAC hanno trovato importanti indicazioni che responsabile di tale dicotomia nelle proprietà ottiche ed X delle galassie early-type possa essere la distribuzione della Materia Oscura (dark matter, DM).

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Andamento dei rapporti M/L (G=M/L) mediante i gradienti radiali (DG/DR). In figura viene chiarito quando i gradienti misurano rapporti M/L costanti e crescenti. Si evince chiaramente che le galassie più brillanti/boxy/core hanno rapporti M/L crescenti, mentre le galassie meno brillanti/disky/power-law hanno rapporti M/L che sono quasi costanti.

Questa può essere misurata mediante i rapporti massa-luminosità (M/L): se nelle galassie esiste solo tanta massa quanta è necessaria per giustificare la luce emessa, allora il rapporto M/L deve essere costante allontanandosi dal centro delle galassie. I modelli cosmologici più accreditati, al contrario prevedono che le galassie debbano essere circondati da aloni di DM, un tipo imprecisato di materia che non è in grado di emettere radiazione elettromagnetica (cioè luce). Con l’aumentare della distanza dal centro, in presenza di DM, essendoci più massa di quanta effettivamente sia in grado di produrre luce, i rapporti M/L devono crescere con il raggio.
Capaccioli e collaboratori hanno dimostrato, su di un campione eterogeneo di 19 galassie, che mentre le galassie più brillanti/boxy/core hanno effettivamente rapporti M/L che crescono a grandi distanze dal centro in accordo con i modelli cosmologici, le galassie meno brillanti/disky/power-law hanno rapporti M/L che sono quasi costanti fino a quelle regioni in cui la DM dovrebbe dominare la dinamica di questi sistemi e i rapporti M/L dovrebbero essere maggiori di quelli misurati nelle regioni interne dominate dalla componente luminosa di origine barionica. Questa scoperta, per certi versi inattesa, da una parte sembra mettere in crisi l’attuale modello standard di evoluzione dell’universo, poiché mette in discussione l’ubiquità della DM intorno le galassie, dall’altra evidenzia una stretta correlazione tra le proprietà della distribuzione della DM intorno alle galassie e il modo in cui la loro componente barionica (luce più gas) si è assemblata, ossia la loro formazione.
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