La storia di una stella dipende dalla sua massa originale e dalla sua composizione chimica, entrambe determinano lo spettro della radiazione che essa emette nel tempo. L’interpretazione dello spettro osservato dipende dalle teorie che spiegano come lo spettro ha origine nell’atmosfera della stella.
I modelli di atmosfere stellari sono allora la chiave per disporre correttamente le stelle sul diagramma H-R, ovvero l’interpretazione della storia della vita di una stella dipende dai modelli atmosferici stellari.
Attualmente i moderni metodi computazionali permettono di studiare sia le fredde stelle nane M e stelle similari di massa molto piccola, sia le nove e le supernove, le quali si trovano all’estremità opposta della scala di luminosità.
La costruzione di un modello stellare e la verifica della sua bontà si basano sulla identificazione di caratteristiche spettrali, definite diagnostici spettrali.
Scienza
Anni fa lo scopo del confronto fra uno spettro stellare sintetico ed uno osservato era quello di costruire un andamento delle variabili termodinamiche di base, atto a coprire una regione atmosferica il più possibile estesa, ora invece al modello atmosferico si chiede di essere non solo una descrizione ma una interpretazione fisica della struttura osservata. Ovvero lo scopo degli studi attuali non va inteso più solamente nell’ottenere un buon accordo fra i dati e le previsioni delle sintesi di qualsivoglia caratteristica spettrale, ma nel capire quali sono i meccanismi fisici che ne rendono conto o la prevedono.
Definizione di diagnostico spettrale
La diagnostica spettrale diviene così via di connessione con la teoria e si introduce nel discorso, ad esempio, della scelta ancora dubbia di quali siano i meccanismi preponderanti di deposizione di energia nel plasma atmosferico e di connessione fra regioni a diverso trasporto di energia. A questo fine vanno scelti quelle quantità osservabili da cui ci si attendano le informazioni più adatte a dirimere tali questioni.
In questo panorama scientifico, in cui, sfrondando la fenomenologia ricchissima senza ignorare la sua utilità ad una rappresentazione morfologica chiara e completa, dalle stelle calde alle fredde, così come dalle nane alle giganti, si intuiscono più somiglianze strutturali, (ad esempio probabilmente è molto ristretto il numero di stelle senza cromosfera), e comportamentali, (l’attività solare è un fenomeno comune ad altre stelle con una analoga modulazione temporale, di quanto non fosse prima evidente, e si sente vieppiù l’esigenza di non assegnare ad ogni classe di oggetti una teoria ad hoc, ma di operare una prima sintesi teorica cui l’astrofisica stellare può oggigiorno a buon diritto auspicare.
Come primo passo intendiamo individuare in alcune righe forti come quelle di risonanza dei metalli alcalini, righe del CaI, e nello spettro dell’idrogeno, le quantità osservabili che possono essere i diagnostici atti a chiarire la questione del riscaldamento cromosferico in stelle di diverso tipo spettrale e gravità così da rendere possibile l’aggancio della modellizzazione fotosfera-cromosfera per molti oggetti.
Lo studio corretto della problematica citata vuole che ogni singola riga sia studiata nell’ambito della sua formazione non ignorando che la categoria che le viene assegnata in un’atmosfera è suscettibile di revisione completa in atmosfera diversa, (ad es. il doppietto del sodio ha un bilancio energetico dominato da fotoionizzazione nel sole quieto mentre è dominato per collisione in una stella M o in regione di macchia solare). Sul sole le righe spettrali hanno da sempre rappresentato lo strumento per la costruzione di modelli atmosferici da affiancare all’indagine dell’andamento del continuo in lunghezza d’onda, ma solo da un tempo più recente è possibile avere a disposizione profili di righe in spettri stellari ad alta risoluzione che permettono studi allo stesso livello di precisione e di approfondimento del sole.
Come accennato prima, la trasposizione dei diagnostici spettrali dal sole alle stelle non è comunque immediata e contemporaneamente val la pena mettere in guardia da un procedimento che non riveda, per ogni oggetto stellare studiato, il rapporto dell’equilibrio cinetico con i parametri termodinamici del plasma considerato. La spiegazione di quanto ora affermato può ottenersi dalla comprensione della individuazione e definizione di una caratteristica spettrale come diagnostico di struttura atmosferica. In linea di principio e da un punto di vista spettroscopico ogni zona di uno spettro stellare se confrontata con uno spettro di laboratorio dà, come è ben noto, informazioni sul plasma da cui è generata, ma vogliamo più propriamente definire diagnostici, nel nostro caso, quelle porzioni di spettro continuo, e più spesso quelle righe forti, che compaiono costantemente negli spettri della maggioranza delle stelle, e molte di esse anche in spettri di plasmi circumstellari, e che manifestano elevata sensibilità ai parametri termodinamici, dinamici ed eventualmente magnetici dell’atmosfera.
Ovviamente quanto maggiore e quanto più specifica è la sensibilità, ovvero quanto più chiara è la dipendenza del profilo della riga da un unico parametro, tanto più essa permette di eseguire la diagnosi di una fenomenologia, ove con questo termine stiamo indicando non un panorama complesso ma un singolo andamento di una variabile fisica nell’atmosfera.
Il panorama più generale viene disegnato dall’utilizzo di diversi diagnostici ognuno di presunta o acclarata sensibilità ad un parametro fisico. Tale procedimento metodologico non intende ottenere come scopo finale un accordo esatto fra profilo osservato e profilo sintetico delle righe stellari e ciò per un duplice motivo: innanzitutto lo scopo della diagnostica spettrale deve essere quello di individuare i meccanismi fisici che determinano la struttura atmosferica, e non quello di generare dei modelli i quali abbiano la presunzione di perfetta riproducibilità dell’oggetto osservato; inoltre questa seconda possibilità è comunque altamente improbabile da realizzare, data la permanente anche se modesta incertezza dei valori di quantità in ingresso nei calcoli della sintesi e la possibilità di ottenere invece risultati sintetici pressocché identici con piccole variazioni ad effetto compensativo nei parametri fondamentali caratterizzanti la stella.
Il successo interpretativo della diagnostica va quindi perseguito piuttosto nello studio dei meccanismi che influenzano la formazione della riga e ne definiscono la tipologia. L’analisi dell’equilibrio cinetico delle righe forti parte ad esempio da una adeguata scelta della rappresentazione atomica per giungere all’esame dei processi dominanti la forma e l’estensione dei profili.
Giova sottolineare che la modellistica dell’atomo deve essere sufficiente a tenere nel giusto conto siffatti processi e che questo scopo non si raggiunge semplicemente aumentando arbitrariamente il numero dei livelli atomici. Livelli atomici in esubero complicano la comprensione essenziale dell’equilibrio cinetico, danneggiano la stabilità della soluzione del trasporto ed avviano ad acquisire la mentalità a concentrarsi solo sui profili quali prodotti della soluzione numerica, dimenticando appunto che la loro interpretazione non è riferibile a uno schema prefissato.
Per ogni riga, in ogni atmosfera, vanno ad esempio verificate la profondità di formazione, la predominanza dei processi radiativi o collisionali, l’influenza dei meccanismi di allargamento e ne va esplorata la sensibilità ai gradienti termodinamici, eventualmente con delle simulazioni di perturbazione nei valori delle variabili corrispondenti a questi meccanismi.
Se sottoposta a questo studio una riga spettrale diventa un diagnostico del plasma in cui si forma, concorrendo alla comprensione non solo dei valori dei parametri ma dei meccanismi fisici così da essere utile oltre che a costruire generazioni successivi di modelli anche a chiarire le cause delle strutture cui essa è riconducibile.
Problematica fisica
Le zone atmosferiche di una stella di tipo solare, che attualmente sono materia di studio e di dibattito aperto, sono la zona cromosferica, alla base della quale rimangono da precisare, in un quadro meno frammentato, i meccanismi di deposizione di energia che permettono l’inversione del gradiente di temperatura da negativo a positivo.
Classicamente la struttura della atmosfera solare e di atmosfere più fredde è stata rappresentata a strati mediante l’elaborazione storica di modelli numerici piano-paralleli in grado di sintetizzare righe e continui.
Il punto di vista alternativo è quello a strutture, motivato più recentemente dagli studi ad alta risoluzione spaziale della superficie solare a diverse lunghezze d’onda.
Nella prima rappresentazione trova posto in basso una fotosfera in equilibrio radiativo, alla sommità una corona calda ed, interposte, una cromosfera e diverse regioni di transizione fra la fotosfera, dominata dalla radiazione e la corona, riscaldata per effetto di processi meccanici; nella seconda ritroviamo sempre la fotosfera in basso, ma la cromosfera è sostituita da differenti strati, alcuni più freddi della stessa fotosfera, altri riscaldati da eventi impulsivi a carattere di shock.
Nel sole la posizione in profondità del minimo di temperatura fra fotosfera e cromosfera varia a secondo che si stia studiando una regione quieta o una attiva, ed insieme con la ripidità del gradiente di temperatura e lo spessore della zona cromosferica ne definisce il livello di attività Questi stessi test di diversi andamenti cromosferici che nel sole si possono fare passando da una struttura ad un’altra limitrofa, grazie alla risoluzione spaziale delle osservazioni, sulle stelle sono possibili confrontando una stella con un altra nelle osservazioni a disco integrato. Anche qui si riscontrano diversi andamenti cromosferici parametrizzabili grosso modo in analogia con il sole, ove, per la precisione, ad un innesto di risalita in temperatura a quota più profonda e con gradiente più ripido corrisponde un maggiore attività della stella.
L’interesse per la problematica cromosferica legata al livello di attività è stato ancor più alimentato dalla recente affermazione, su dati da satellite, che non solo le stelle fredde, ma anche le stelle di tipo spettrale compreso fra A ed F hanno cromosfere, suggerendo che il limite all’apparire della risalita cromosferica finora definito sul diagramma H-R altro non era che un limite osservativo.
Sulla base di altri risultati nella letteratura recente possiamo inoltre pertanto affermare che presentano inversione di gradiente di temperatura fotosferico stelle con struttura subfotosferica diversa, con differenti velocità rotazionali, con più o meno spiccata attività magnetica, stelle nane e giganti e persino strati radianti in dischi di accrescimento circumstellari.
Fenomenologia delle caratteristiche spettrali
Per dipanare i quesiti che nascono intorno a questi temi, che non riguardano solo la classificazione astrofisica ma affrontano problemi inerenti la teoria fisica di base, si studiano le righe dei metalli alcalini quali il doppietto del sodio, la riga di risonanza del potassio, lo spettro dell’idrogeno con una particolare attenzione all’Hα ed alla Lymanα, le righe del CaII e del MgII.
A questi diagnostici storici, oggi comunque meglio compresi, si affiancano ora nuovi diagnostici, come ad esempio testimonia uno recente studio sul CaI 4227, adoperato quale strumento di indagine del mimimo di temperatura in stelle fredde di tipo M; si tratta di diagnostici complementari, la cui formazione dipende dalla struttura atmosferica in modo diverso da quello di diagnostici già comunemente in uso e che forniscono pertanto informazioni addizionali.

Il profilo in nero è un profilo sintetico, ovvero calcolato a partire da un modello atmosferico, i profili colorati sono profili osservati di stelle diversamente attive.
I diagnostici non sono generali per le stelle di qualsivoglia tipo spettrale, ad esempio le righe H e K del CaII e le h e k del MgII, noti indicatori di cromosfere e di regione di transizione nelle stelle di tipo solare fino ai primi tipi K, non sono facilmente osservabili in stelle fredde poiché lontane in lunghezza d’onda dalla zona di maggiore emissione spettrale, pertanto è opportuno in tali spettri fare ricorso a righe come CaII 8542 o la prima citata CaI 4227. E così, in stelle molto più fredde del sole, o equivalentemente in regioni di macchia solare, le righe di risonanza del sodio diventano, insieme alla altrettanto nota Hα, promettenti diagnostici della zona della cromosfera inferiore e media. L’Hα, sensibile all’aumento della pressione elettronica strettamente correlato al gradiente cromosferico, dà anche un momitoraggio dell’attività della stella, aumentando, in ragione di un aumento di questa, prima l’entità dell’assorbimento e poi presentandosi in emissione. Il valore preciso di questa pressione critica dipende dai modelli atmosferici scelti per riprodurre il profilo sintetico della riga. In realtà tutto lo spettro dell’idrogeno, continuo e di righe, permette di studiare i dettagli della struttura cromosferica a diversi livelli di attività. Tale struttura cromosferica si presta ad essere parametrizzata dal valore della pressione alla quota del minimo di temperatura, dalla ripidità del gradiente di temperatura, dallo spessore dello strato sino alla successiva regione di transizione. Mentre l’Hα, come detto prima, si identifica nel diagnostico del livello di attività cromosferico, la Lyα sembra essere l’unico indicatore utile per individuare le condizioni di riscaldamento cromosferico in stelle di tipo A – F. Ancora l’Hα, ad emissione ed assorbimento variabile nello spettro di un disco di accrescimento di una stella di pre-sequenza tipicamente di 1-2 masse solari, è diagnostico di campi di velocità indotti da un meccanismo di accelerazione magneto-centrifugo ed è prova dell’esistenza di venti, i quali hanno una importanza fondamentale nel rimuovere, nelle ultime fasi del processo della sua formazione, il momento in angolare in eccesso per la stabilità della stella. Per quanto riguarda invece il sodio e più in generale gli alcalini, bisogna tenere presente che al diminuire della temperatura efficace il doppietto del sodio non è più una riga con equilibrio cinetico controllato dai processi di fotoionizzazione ma è invece dominata dalle collisioni, questo perché il flusso UV, di minore entità in stelle fredde, non amplifica il rate di fotoionizzazione dal livello fondamentale al continuo, (rate questo dominante nel caso solare nel fissare le popolazioni dei livelli atomici relativi alla riga di risonanza), e contemporaneamente i processi collisionali aumentano per effetto della maggiore densità cromosferica. Esso diventa così un buon diagnostico della struttura termica dell’atmosfera alla sua stessa profondità di formazione, ovvero nella regione del minimo di temperaura. In particolare la posizione del minimo di temperatura in quota è rivelabile nella differenza di flusso residuo fra il cuore e l’innesto delle ali fotosferiche.
Ed in realtà il doppietto si afferma come uno dei migliori diagnostici grazie anche alle sue ali molto sviluppate che permettono di seguire la struttura fotosferica completando una vasta regione atmosferica in quota. Il monitoraggio in quota può avvalersi del riscontro sulla riga di risonanza del potassio, di formazione di alta fotosfera – minimo di temperatura, anch’essa con evidenza di reversal in macchia solare, e più sensibile al campo magnetico. Questa diagnostica ricorda quella più spesso usata nel passato per le righe H e K del CaII, ma il doppietto del sodio ha il vantaggio di poter essere comunque sintetizzato in ridistribuzione completa e non parziale. Inoltre il cuore delle righe D mostra una risalita monotona con la pressione cromosferica fino ad evidenziare reversal di emissione nei modelli di stelle più attive. Risultati e temi questi da affrontare, secondo la nostra opinione, non con i criteri della differenziazione fenomenologica, ma secondo una interpretazione concatenata di meccanismi causali di struttura di base.
Ricerca
L’unità di Napoli ha raggiunto i seguenti risultati riguardo alle tematiche presentate:
- Per quanto riguarda lo studio degli indicatori cromosferici in stelle fredde, sono stati eseguiti calcoli in non-LTE di profili sintetici del tripletto IR del CaII su di una griglia di modelli fotosferici aventi temperatura efficace pari a 4200, 5200, 6000 K e log g= 4.0, 4.5 e 5.0 e A/H = 0.0, 1.0, 2.0, al fine di studiare la sensibilità di tali profili alle variazioni nei parametri stellari. Il risultato è stato una nuova definizione dell’indice di attività, espresso tramite la differenza fra l’intensità centrale, di ciascuna delle componenti del tripletto calcolata e quella osservata.
- Altro obbiettivo conseguito è stato quello di ottenere osservazioni spettroscopiche echelle di circa 50 stelle fredde di tipo solare sia di campo che di pre-sequenza principale, e quindi con differente grado di attività cromosferica e coronale (emissione X), nell’intervallo spettrale compreso tra 570 e 900nm. Gli spettri ottenuti sono in corso di riduzione. Inoltre nel febbraio 2002 sono state ottenute, per lo svolgimento del presente programma, due notti al Telescopio Nazionale Galileo (TNG) sito nelle Isole Canarie, con l’utilizzo dello spettrografo ad alta risoluzione SARG.
- E’ stato inoltre eseguito uno studio preliminare del tripletto infrarosso del CaII su modelli atmosferici atti a simulare stelle di tipo solare con differente livello di attività al fine di verificare la possibilità di utilizzare i dati spettroscopici della futura missione GAIA per monitorare l’attività cromosferica di stelle fredde. Gli spettri sintetici sono stati combinati con diversi profili strumentali e diversi valori del rapporto segnale/rumore per rapprentare i possibili spettri ottenibili da GAIA a secondo delle caratteristiche dello spettrografo che la missione ospiterà, e per valutare la loro utilizzabilità ai fini degli studi di attività stellare.